Riccardo Benna

Bibliofilo e narratore


Pensiero #7 — Il nuovo futurismo

Dal manifesto di Marinetti alla letteratura social-driven

Nel 1909, Filippo Tommaso Marinetti pubblicava il Manifesto del Futurismo su Le Figaro, inaugurando una stagione di avanguardia che esaltava velocità, tecnologia e rottura con il passato. A distanza di oltre un secolo, potremmo chiederci: non stiamo forse assistendo a un nuovo futurismo? Un futurismo digitale, dove la letteratura è travolta dalla rapidità del mercato, della comunicazione e della cultura pop dei social. Se il futurismo storico, con tutte le sue contraddizioni, cercava una lingua nuova per interpretare una società meccanizzata, la letteratura ai tempi dei social sembra invece subire passivamente una trasformazione dettata da logiche di mercato.

I social e la mutazione della lettura

I social network hanno ridotto drasticamente la soglia di attenzione. Non è solo una questione di tempo dedicato alla lettura, ma di una vera e propria trasformazione del modo in cui leggiamo e scriviamo. La brevità è diventata un imperativo: tutto dev’essere immediato, diretto, facilmente consumabile. Se il futurismo voleva distruggere la sintassi per dare spazio all’immediatezza dell’emozione, oggi assistiamo a una sintassi impoverita per necessità di adattamento alle piattaforme digitali. Ciò che il futurismo cercava consapevolmente, il digitale lo impone inconsciamente.

Un tempo si leggeva per approfondire, oggi si legge per restare aggiornati. L’algoritmo ha sostituito la critica letteraria, promuovendo non ciò che è valido, ma ciò che è virale. Se il futurismo auspicava la distruzione dei musei e delle accademie per liberare la creatività, il nuovo futurismo digitale ha eliminato la mediazione culturale, sostituendola con la dittatura del trend. Questo non significa che non esistano più buoni libri, ma che la loro visibilità è regolata da criteri diversi, spesso estranei alla qualità letteraria.

Scrittori o content creator?

Gli scrittori sono sempre stati, in un certo senso, content creator. Ma oggi sono costretti a esserlo secondo le regole del mercato digitale. Un tempo le avanguardie sperimentavano nuove forme linguistiche, oggi si sperimenta solo ciò che garantisce engagement. Il futurismo, per quanto iconoclasta, aveva un progetto estetico, una visione del mondo. Il nuovo futurismo digitale non ha altro scopo se non quello della riproduzione seriale di contenuti sempre più semplificati.

Il linguaggio si è adattato alle dinamiche social: frasi brevi, d’effetto, facilmente citabili. I romanzi si sono fatti sempre più frammentati, più simili a post di Facebook che a opere strutturate. La serialità, tanto esaltata dalle piattaforme di streaming, si è riversata anche sulla narrativa: il lettore di oggi vuole storie che possano essere consumate rapidamente, capitoli brevi, cliffhanger continui, uno stile che ricalchi le meccaniche della sceneggiatura televisiva più che quelle della letteratura tradizionale.

La letteratura social-driven: una democratizzazione mancata

I social avrebbero potuto essere uno strumento di democratizzazione della letteratura, ma hanno finito per appiattire le differenze. Umberto Eco parlava di un’epoca in cui gli imbecilli avrebbero avuto la stessa visibilità di un premio Nobel, e il mercato editoriale non ha tardato ad adeguarsi. Oggi un libro non è valutato per il suo valore letterario, ma per la sua “instagrammabilità”. Un romanzo deve essere fotogenico, facilmente riassumibile in un reel, adatto a essere citato in una caption.

Gli editori, anziché contrastare questa deriva, l’hanno assecondata. Se il futurismo si poneva in netta opposizione con la tradizione, il nuovo futurismo digitale si è allineato ai nuovi poteri economici senza alcun moto di ribellione. Gli autori, spesso inconsapevoli, sono vittime e complici: scrivono ciò che il mercato chiede, nella forma che il mercato impone. Anche il lettore, d’altra parte, è responsabile: vuole libri facili, accessibili, che richiedano il minimo sforzo di interpretazione.

L’AI generativa: il frutto proibito della nuova letteratura

In questo panorama, l’Intelligenza Artificiale rappresenta la svolta definitiva. Se il futurismo auspicava una fusione tra uomo e macchina, oggi la macchina scrive al posto dell’uomo. L’AI generativa produce testi perfettamente costruiti secondo schemi narrativi preesistenti, eliminando qualsiasi traccia di autenticità autoriale. È il coronamento perfetto di un’epoca in cui la creatività non è più ricerca, ma riproduzione algoritmica di ciò che ha già funzionato in passato.

Eppure, la letteratura non è solo struttura, non è solo mercato. È un atto umano, un bisogno primordiale di raccontare e comprendere il mondo. Se il futurismo storico voleva abbattere i confini tra le arti e tra l’uomo e la macchina, il nuovo futurismo digitale rischia di appiattire ogni voce in un indistinto rumore di fondo.

C’è ancora spazio per resistere?

Esistono autori che resistono, che rifiutano le logiche del mercato digitale e cercano di mantenere viva una letteratura che non sia puro intrattenimento. La chiave per farlo è leggere. Leggere tanto, leggere classici, leggere con profondità. L’innovazione non è un male in sé, ma deve essere guidata da una consapevolezza critica. Il futurismo aveva un progetto, la letteratura social-driven no.

Non si tratta di nostalgia per un passato migliore, ma di comprendere che la letteratura, per sopravvivere, non può essere solo consumo. Serve un nuovo umanesimo letterario, capace di integrare le opportunità del digitale senza sacrificare la complessità del pensiero e la profondità della parola scritta. Il nuovo futurismo digitale non deve essere accettato passivamente: possiamo ancora scegliere che tipo di lettori, scrittori e editori vogliamo essere.



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