Il mio rapporto con la revisione? Lo potete immaginare.
Mi mette sempre in una posizione scomoda: tra l’incudine e il martello, ovvero tra la tendenza distruttiva del mio censore interiore e quella protettiva, quasi materna, di chi mette al mondo una creatura e mai vorrebbe scagliarsi contro di lei solo perché non è perfetta.
Se ho mai scritto qualcosa di così brutto da volerlo cancellare subito? Quasi tutto quello che scrivo lo defenestrerei all’istante.
Niente di ciò che scrivo è mai all’altezza delle mie aspettative.
Io penso – non so con quali parole – a una scena, un concetto, un dialogo, e nel momento in cui lo scrivo mi pare impoverito, come se tutta la sua ricchezza fosse andata dispersa nel viaggio dalla mia mente alle mie dita.
Questo accade costantemente, senza eccezioni.
Se qualcosa si è salvato, è stato sempre grazie agli altri.
Mia madre e i miei amici sono i miei beta-reader (ah, che sciagura avere un parente o un amico scrittore) e il loro sincero (credo) apprezzamento è ciò che mi ha sempre convinto ad andare avanti.

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